Emanuele Palmieri. Nascere a Gela nel 1969 e crescere a Vittoria porta inevitabilmente il pensiero a un periodo caratterizzato da episodi di criminalità organizzata, che avevano condizionato la vita di quei laboriosi centri urbani. In quel periodo la scuola non era nelle aule ma nella strada. Emanuele, come gli altri adolescenti della sua età, non ha mai conosciuto l’infanzia «mai incontrata, né accarezzata, né frequentata». Nemmeno i quattro anni trascorsi presso un collegio di suore sono serviti a insegnargli che la vita è da vivere nella legalità con il rispetto dei propri simili. Costretto a dover sopravvivere in mezzo a un susseguirsi di scelte sbagliate, ha inevitabilmente vissuto l’esperienza del carcere minorile. Confidando in una sorta di impunità, privo della cultura di discernere il bene dal male, si è ritrovato in carcere per sedici anni e tre mesi. Guardando indietro, con un sorriso amaro Emanuele constata che Vittoria porta tale nome ma, in effetti, per troppi anni ha rappresentato la “sconfitta” della gente onesta, che «meriterebbe la luce del sole, i colori dell’arcobaleno, la serena bellezza del tramonto…».