8 RACCONTI 8 – Divertenti fantasia di un’ottantenne
L’interesse per i luoghi, le cose, le radici di un vissuto suo o di altri, gli incontri con le persone, caratterizzano i racconti di Maria Luisa. Per lei sempre una quotidiana e lunga strada da condividere o da osservare semplicemente.
Le storie narrate si intrecciano ineluttabilmente, srotolandosi nel dettaglio delle particolari vicende, in un cerchio di fantasia e/o realtà.
Otto è il simbolo dell’infinito, dove niente finisce. Otto sono le escursioni non corsare compiute per carpire la vita riannodandola o sfilacciandola, di parola in parola. Andando di pagina in pagina non ho colto nelle parole scritte nulla che lasciasse trapelare l’età dell’autrice.
Ho avvertito, invece, leggendo il manoscritto, un continuo 8, due semicerchi che si uniscono ma si possono disgiungere, creando così uno zero infinito in cui l’umanità annaspa o si ritrova.
L’otto tende alla perfezione, ad una rinascita ed ha una valenza simbolica come tutti i numeri. Qui sembra essere un tracciato che si riavvicina e si chiude armonicamente.
Subito pare di conoscere da sempre i personaggi che annodano o sciolgono i loro percorsi, collegati in una casualità che tale non è mai. Allora, nell’invenzione o corposità dei protagonisti si dipanano incontri di vita, amicizie, conoscenze, fragili o forti amori.
La scrittrice si cimenta nei suoi temi prediletti: i rapporti familiari, le relazioni, i cambiamenti del costume, della cosiddetta morale. Assiste all’evoluzione o involuzione della specie non sperando più in un cambiamento dell’essere umano, affidando l’esistenza a ruoli prestabiliti, come se non esistesse un ordine storico creato dall’uomo, ma solo un disegno naturale che come tale si vive e si accetta.
Nel racconto “Il mare” afferma “la vita nuotata mi spetta” per dire “ho diritto a farmi bagnare, nuotare in acque libere o affogare”, per poi indugiare in una sorta di banalità quotidiana, fatta di consuetudini. Vedere un bel corpo sodo, di giovane donna sulla spiaggia e invidiarlo come donne mature, ripercorrendo quella “solita” rivalità fra donne, fra giovani e meno giovani, convincendosi che un corpo di donna va mostrato se piacente e magari coperto se non lo è più.
L’aroma del caffè che si sprigiona nell’omonimo altro racconto ci introduce in una specie di poliziesco, con una trama avvelenata. In apparenza un normale rapporto di amicizia e un “normale” rapporto fra marito e moglie (ove, come si conviene, “non bisogna mettere il dito”…) si trasforma in un delitto, una notizia da rotocalco. Si commette un “ominicidio”, termine irreale e fantasioso, visto che sono sempre femminicidi quelli cui assistiamo ogni giorno.
Il rituale degli incontri e della tazzina di caffè sembrava unire amici che, in realtà, non si conoscevano affatto, si guardavano ma non si vedevano. La perenne angoscia della incomunicabilità umana, della non empatia, del non guardarsi dentro ma solo fuori.
Fortunatamente esistono ancora o dovrebbero esistere luoghi come pinete, anche dell’animo.
Raccontando “La pineta”, Maria Luisa snocciola nel racconto, come in una moviola, la sua giovinezza, vissuta tra la voglia di fuggire da casa per ritrovarsi con gli amici Osvaldo, Francesca ed Ezio nel loro rifugio verde dove condividere amori, sguardi, gesti, ideali…
Ma il racconto, pur facendoci accarezzare in lontananza il periodo del ’68, non vissuto come slancio giovanile ma come coscienza di cambiare il mondo, ci fa vivere un incubo. I ragazzi si ritrovano coinvolti, loro malgrado in un incidente che li porta a vivere qualche momento in carcere.
“Quando si hanno figli si è madri e poi suocere” dice Maria Luisa ne “La suocera” e si domanda il perché della rivalità tra suocera e nuora, le quali non sono agli occhi dell’uomo e di tutti delle “persone” ma dei “ruoli” in conflitto fra loro, sempre per compiacere un uomo. Suocera e nuora hanno un nome, una vita, una dignità. Ma queste cose fondamentali rischi di perderle come donna quando ti sposi o convivi. Una piccola cosa che potrebbe avere il sapore di libertà poi te la concedi, se puoi permettertela in una crociera vera o con amiche immaginarie: “A me fa tanto ridere il fatto di parlare di emancipazione della donna anche perché nella mia generazione l’uomo non è ancora preparato a dare un aiuto a casa” dice l’autrice.
Nel racconto “La crociera” si ravvisa una specie di fuga dalla realtà; si avverte una sorta di accettazione del modo in cui si sta insieme fino a pensare che l’uomo dovrebbe prepararsi per aiutare la donna in casa… donna che ha solo diritto al rispetto delle proprie scelte di vita, della propria libertà e alla condivisione di una vera relazione d’amore.
L’intraprendenza di una piccola donna di una certa età, l’amore e il duro lavoro di tutta una famiglia sono il quadretto descritto nel racconto “L’allevamento”, una lezione di coesione e di unità familiare incredibile.
“La strada” ci mette in guardia sui pericoli di attraversarla in modo incosciente ma rappresenta anche una specie di archetipo sul coraggio di affrontare i problemi e sulla necessità di non abbandonare o isolare qualsiasi strada. Le figure che si aggirano nella scrittura di Maria Luisa sono antieroi che stanno sempre sul punto di liberarsi delle gabbie che gli vengono create intorno o che si creano da soli.
L’ultimo quadro di questa “commedia” a scena aperta voglio destinarlo a “La prigioniera” in cui una certa Beatrice si ritrova segregata, non per aver parlato troppo, ma forse per un suo innato senso di giustizia.
Il significato recondito che si nasconde o affiora negli incontri o nei rituali descritti nel libro appare lento o di scatto e già quando le carte sono state svelate. Una sottile nostalgia si insinua prepotentemente per un passato perduto che viene reinventato nel presente benefico o malefico.
Gina Di Francesco
Curatrice Collana editoriale Le ginestre donne In…Edite
10,00€