IL DELITTO MATTEOTTI
Il “duce” intavolò delle trattative segrete coi socialisti unitari perché collaborassero con lui al Governo e poi ne fece uccidere il segretario.
Dato che la prima parte della proposizione è confermata dai documenti (inediti), ne consegue che la seconda è smaccatamente falsa.
Dumini, il capo della banda che uccise Matteotti, aveva intrattenuto degli strani rapporti con la Sinistra radicale e, più tardi, ne avrà con gli Alleati, specialmente con gli Inglesi. Si sospetta, sulla scorta di una serie di indizi, che lui avesse avuto un ruolo, nel febbraio del ’24, nell’attentato mortale compiuto contro il delegato del Fascio parigino, Bonservizi, un fedelissimo del “duce”.
Dumini, il fascista? Improbabile.
Un povero diavolo o una spia della Terza Internazionale?
Otto Thierschadl, alias Chirzel, alias Kravjnapolski (un’infinità di “alias”), che si era unito a Dumini nell’imminenza dell’agguato a Matteotti e se ne era distaccato all’ultimo istante, non poteva essere l’uno e l’altro insieme. Ma i documenti non chiariscono. Lo straniero uscì dalla porta sul retro dell’istruttoria e sparì nel nulla, da dove era venuto: e non se ne parlò più.
Nella primavera del ’24 il PNF era spaccato in due. Una delle due metà osteggiava con ogni mezzo l’operato del “duce” e invocava la “contromarcia”. Tutti coloro che in un modo o nell’altro sarebbero stati risucchiati nell’inchiesta sul delitto Matteotti appartenevano alla fazione dei dissidenti, oppure non avevano nulla da spartire col partito fascista.
È questo un dettaglio insignificante?
Un detenuto tedesco a Regina Coeli, nello spiegare il delitto Matteotti, parlò di un complotto internazionale ordito dall’Alta Banca in combutta con la Sinistra eversiva. Fece nomi e cognomi. L’indagine – un atto dovuto – finì dove era cominciata. Non ci furono conferme. Ma neppure delle smentite.
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