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LA BIBBIA – COFANETTO di 6 LIBRI

La Bibbia (dal greco Ta Biblìa, “i libri” per antonomasia) è una raccolta di testi collegati fra loro sia per l’origine che per il contenuto e per questo il suo nome è al singolare. La Bibbia non è soltanto un’opera religiosa, è anche storica e giuridica, perché narra la storia del popolo ebraico e parla delle sue leggi, civili e religiose.
L’Antico Testamento, secondo il canone ebraico, comprende:
a) libri storici: i 5 del Pentateuco (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio) più: Giosuè – Giudici – Rut – Primo libro di Samuele – Secondo libro di Samuele – Primo libro dei Re – Secondo libro dei Re – Primo libro delle Cronache – Secondo libro delle Cronache – Esdra – Neemia – Ester.
b) libri poetici: Giobbe – Salmi – Proverbi – Ecclesiaste – Cantico dei Cantici.
c) libri profetici: Isaia – Geremia – Lamentazioni – Ezechiele – Daniele – Osea – Gioele – Amos – Abdia – Giona – Michea – Naum – Abacuc – Sofonia – Aggeo – Zaccaria – Malachia.
A tutti questi la Chiesa cattolica ha aggiunto: Tobia, Giuditta, Sapienza, Ecclesiastico, Baruc e Maccabei.
Il Nuovo Testamento comprende:
a) libri storici: Vangelo secondo Matteo – Van¬gelo secondo Marco – Vangelo secondo Luca – Vange¬lo secondo Giovanni – Atti degli Apostoli.
b) libri didattici: Lettere di S. Paolo: Ai Ro¬mani – Prima ai Corinti – Seconda ai Corinti – Ai Galati – Agli Efesini – Ai Filippesi – Ai Colossesi – Prima ai Tessalonicesi – Seconda ai Tessalonicesi – Prima a Timoteo – Seconda a Timoteo – A Tito – A Filemone – Agli Ebrei. Lettere generali: Lettera di S. Giacomo – Pri¬ma lettera di S. Pietro – Seconda lettera di S. Pietro – Prima lettera di S. Giovanni – Se-conda lettera di S. Giovanni – Terza lettera di S. Giovanni – Lettera di S. Giuda.
c) libri profetici: Apocalisse.
Non esiste il testo originale della Bibbia, cioè la sua prima stesura in lingua ebraica, il che rende molto difficile individuare le trasformazioni, le manipolazioni, le aggiunte, i tagli e gli aggiustamenti che nel corso dei secoli si sono susseguiti nelle varie redazioni. Dai frammenti di manoscritti risalenti al periodo fra il sec. III a. C. e il I d. C., scoperti nei pressi del Mar morto a Qumran nel 1947, si ricavano numerose varianti, adattamenti e modernizzazioni del testo.
La redazione della Bibbia occupa un periodo di circa 1500 anni, e ciò spiega le variazioni che nel corso dei secoli vi sono state apportate, anche in fatto di lingua, tanto che nell’ultimo periodo, divenuto l’ebraico una lin¬gua morta usata solo nelle scuole e nella liturgia, vi si trovano infiltrazioni dialettali aramaiche.
Quanto al Nuovo Testamento la lingua greca non è quella classica, bensì quella popolare, la koinè diàlektos, cioè un linguaggio comune formatosi in seguito alle conquiste di Alessandro Magno e alla diffusione della cultura greca in un’area molto vasta.
La Bibbia va letta tenendo presenti i diversi sensi che la caratterizzano, tra cui principalmente: il senso letterale o storico, derivante dalle pa¬role prese nel loro significato evidente e immediato, il sen¬so allegorico, morale e anagogico, che va oltre le cose terrene, attingendo a quelle celesti.
Uno dei più grandi problemi, che obiettivamente non sembra risolto, riguarda la presunta unità fra l’Antico e il Nuovo Testamento. Furono i primi teologi cristiani a considerarli come un’opera unitaria, vedendo nell’Antico, che narra la storia e la vita del popolo ebraico dalle origini ai primi del I secolo d.C., un periodo di preparazione all’avvento di Cristo, che avrebbe riunito tutti gli uomini, di ogni razza e di ogni nazione, in un popolo solo, rinnovando l’alleanza conclusa in precedenza unicamente con Israele. Nel Nuovo Testamento Dio, facendosi uomo, si rende chiaramente manifesto. Ma questa unità fra l’Antico e il Nuovo Testamento esiste davvero? Se, come dicono alcuni, “c’è il rischio di vedere i due Testamenti come due entità storiche e teologiche separate, distanti nel tempo e nella storia o, peggio ancora, di considerare i due Testamenti come due rivelazioni distinte”, è evidente che il dubbio non è campato in aria.
La Chiesa Cattolica ha sempre sostenuto l’unità e l’armonia fra l’Antico e il Nuovo Testamento, ma a ben guardare vi sono fra i due differenze notevoli. Non basta dire che l’uno e l’altro sono “Parola di Dio” e che ciò è sufficiente per considerarli unitari, non è esatto affermare che “l’Antico e il Nuovo Testamento non ci presentano due mondi contrastanti, o due rivelazioni opposte, o due immagini differenti di Dio” quando la prima differenza, il primo contrasto, sta proprio nella diversa immagine di Dio, che nell’Antico Testamento è il Dio della Legge, inflessibile, bellicoso, punitivo, vendicativo e persino omicida, mentre il Dio del Nuovo Testamento è amoroso, benevolo e misericordioso al punto da perdonare e salvare anche chi non rispetta la sua Legge. Dire dunque che l’Antico e il Nuovo Testamento sono “uniti in maniera stupefacente da un filo conduttore unitario” e che “rivelano, in una visione unica e incomparabile, il grandioso disegno di Dio” sembra un po’ esagerato. Resta comunque il fatto che “i cristiani leggono l’Antico Testamento alla luce di Cristo, che è la chiave di lettura di tutta la Bibbia e la pienezza di tutta la Rivelazione”, ma non che “anche il Nuovo Testamento esige di essere letto alla luce dell’Antico, come se, in una sorta di ‘reciproca complementarietà’, il Nuovo fosse nascosto e svelato nell’Antico, e viceversa”.
Cosa sarebbe da solo l’Antico Testamento? Diciamo che il Nuovo lo riabilita, riscattando l’immagine del Dio biblico con quella di gran lunga superiore, sublime e ineguagliabile di Cristo (che è pur sempre Dio), offrendo verità certe, a cui la mente e l’animo si accostano convinti e fiduciosi. Le parole di Gesù, per esempio, sono più convincenti di quelle del Dio biblico, i suoi miracoli più esaltanti di quelli di Mosè e di altri profeti. Il Nuovo Testamento risplende di una luce che l’Antico non ha, è davvero la parola di Dio, la si sente con assoluta certezza, perché è Dio stesso che parla in Gesù. In fondo l’Antico Testamento, in particolare il Pentateuco, per quanto bella, suggestiva e interessante, è una storia come altre, mentre il Nuovo è un’apoteosi, pur essendo quantitativamente circa la quarta parte dell’Antico (271 pagine contro 1033 delle edizioni Paoline). Tuttavia rispetto all’Antico il Nuovo è più omogeneo, tutto incentrato sulla figura di Gesù, che è decisamente il Grande Protagonista della storia, che, pur se intrisa, alla fine, di dolore e di morte, risplende di una luce ineguagliabile.
Si potrebbe tuttavia obiettare che non c’è poi tanta differenza fra il Dio dell’Antico Testamento e quello del Nuovo, incarnato in Gesù, che d’altra parte lo accetta, nonostante il suo aspetto collerico e bellicoso. Sono molti, o quanto bastano, i passi in cui Gesù mostra atteggiamenti tutt’altro che benevoli e amorosi, come quando caccia i mercanti dal tempio a suon di frustate rovesciando le loro bancarelle. In Matteo (10, 34-39) dice: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non son venuto a portare pace, ma la spada. Perché son venuto a dividere il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera; e i nemici dell’uomo saranno i suoi familiari”. Anche in Luca Gesù dice: “Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione” (12,51). E ancora: “Sono venuto ad accendere il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!” (12,49). E quante volte minaccia, come il Dio dell’Antico Testamento (“Guai a voi, scribi e farisei!…”, “Guai a colui a causa del quale avviene lo scandalo!”, “Guai anche a voi, dottori della Legge!”, “Guai a colui che tradisce il Figlio dell’uomo!”), e così via. Spesso, insomma, anche Gesù si arrabbia e perde la pazienza, esclama “Razza di vipere” o augura a qualcuno una disgrazia. D’altra parte Dio si è fatto uomo per vivere sino in fondo la sua umanità, sia pure entro certi limiti, tanto che non è da escludersi che Gesù abbia avuto anche rapporti carnali con una donna. Quanto al suo sacrificio, se si vuole vedere l’unità fra l’Antico e il Nuovo Testamento, si potrebbe spiegarlo così:
Gesù è sempre Dio, che di fronte alle continue malefatte degli uomini a un certo punto pensa che per poterli convertire al bene non ci sia altra soluzione che quella di scendere lui stesso sulla terra assumendo nei loro confronti un atteggiamento completamente diverso: non essendo, cioè, riuscito a convincerli con le cattive, nemmeno con la distruzione di Sodoma e Gomorra e col diluvio universale, lo farà con le buone, col sacrificio di se stesso, quale ‘capro espiatorio’ di una colpa che in parte è anche sua, non solo perché l’uomo lo ha creato Lui, ma perché è Lui che muove i fili di tutto. Da un lato, dunque, Dio, attraverso Cristo, opera una redenzione dell’umanità, dietro la spinta di un amore che lo porta sino al sacrificio di sé, dall’altro riscatta se stesso da una situazione che comunque è imputabile anche a Lui. Questa è la spiegazione logica del dramma. Dio ‘si vendica’ del peccato originale dell’uomo attraverso un amore infinito che lo porta ad immolare se stesso. Anche se lo si prende solo come un gioco dialettico e illusorio (Dio non poteva morire veramente) è sempre il gesto più alto che soltanto un Dio poteva concepire, l’uomo, anche il più fantasioso, non sarebbe mai arrivato ad una visione così poetica e sublime.
Luigi e Giovanni

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Autore

  • Mario Scaffidi Abbate

    Mario Scaffidi Abbate è nato a Brescia il 18 gennaio del 1926. Ingegno precoce e molteplice, fin da bambino ha mostrato predisposizione per la poesia, per il disegno e per la musica: a cinque anni cominciò a studiare il violino, sostituito in seguito dal pianoforte, nel 1936, avendo ascoltato dalla viva voce del Duce, vestito da balilla e inquadrato nel suo plotone, la proclamazione dell’Impero, scrisse su quell’avvenimento alcuni versi che il padre fece pervenire a Mussolini, il quale volle conoscerlo e gli strinse la mano nella famosa Sala del Mappamondo, a Palazzo Venezia. Di lì a sette mesi scrisse un’altra poesia dedicata a Giuseppe Bottai, in occasione della sua nomina a ministro dell’Educazione Nazionale, il quale gl’inviò una lettera di ringraziamento.

    Nel corso della sua carriera scolastica ha saltato tre classi: la quinta elementare, la seconda del ginnasio e la terza del liceo classico. A dodici anni vinse il primo premio in un concorso internazionale di pittura con un acquerello rappresentante una dama e un cavaliere. A Palermo ricevette la medaglia d’argento per aver riportato la migliore votazione fra tutti gli alunni della scuola, al liceo “Galileo” di Firenze ebbe fra i compagni di classe Giovanni Spadolini, nel settembre del 1943, ad Orvieto, si arruolò come legionario nei Battaglioni M della RSI.

    Ha esordito nella letteratura e nel giornalismo nel 1946, scrivendo articoli per il Corriere di Calabria e il Giornale di Sicilia e tenendo conferenze in due associazioni, la LI.AS.GO. (Libera Associazione Goliardica), di cui dirigeva il settore culturale, e la F.I.L.I (Federazione Italiana Liberi Intellettuali). È stato istitutore assistente al Convitto Nazionale “Tommaso Campanella” di Reggio Calabria e nel 1947 ha pubblicato un saggio, Sopra un’ode di Orazio, e un poemetto, La Virtù, in cui descriveva le discordie del nostro paese. Ha fatto parte della compagnia teatrale della città, debuttando come protagonista nella Locandiera e in Due dozzine di rose scarlatte e partecipando, nel 1948, ad un concorso al teatro “Rossini” di Pesaro come protagonista in Romanticismo di Girolamo Rovetta, piazzandosi, come singolo attore, al primo posto e ottenendo il plauso della giuria, presieduta da Anton Giulio Bragaglia.

    Conseguita la laurea in Lettere classiche nel 1948, ottenne una supplenza al Convitto Nazionale “Cesare Battisti” di Lovere, quindi al Convitto Civico di Castiglione delle Stiviere (in cui ebbe come alunno il futuro attore Mario Maranzana) e successivamente l’incarico al Convitto Nazionale di Roma, finché, vinto il concorso, ottenne la cattedra d’italiano e latino nei licei statali, mantenendo tuttavia alcune ore al Convitto Nazionale, in cui rivestì quasi sempre l’incarico di vice preside (e per un anno di preside alla scuola Media), nonché quello di segretario del Sindacato del Convitto Nazionale, contribuendo, insieme con un onorevole, alla statalizzazione delle scuole in tutti i Convitti Nazionali e all’accesso, come alunne esterne, anche alle donne.

    Ha collaborato per una trentina d’anni a diversi programmi radiofonici della RAI, leggeri, diretti da Luciano Rispoli (Gli amici delle 12, Cronaca minima e Girasketch), e culturali, diretti da Giovanni Gigliozzi e Giulio Cattaneo, con sceneggiati originali, di carattere storico (Le svolte della Storia, I grandi antagonisti, Al tempo di…) e linguistico (La parola alla parola! e Parole alla sbarra, in cui, primo e forse unico al mondo, ha dato voce alle parole stesse raccontandone la storia, e da cui Luciano Rispoli, plagiandolo, trasse la trasmissione televisiva Parola mia). Sempre per la RAI ha collaborato alla Terza Pagina del settimanale televisivo Trentaminuti giovani, ha recensito più di cento libri per la rubrica Libri ricevuti, con interviste ad alcuni degli autori, fra cui Salvator Gotta, Ungaretti e Bevilacqua. Contemporaneamente ha collaborato a due riviste, sempre della Rai, Sintonia e La radio per le scuole.     Ideatore di uno ‘sposalizio’ della poesia con la musica anche nell’insegnamento, è stato intervistato per la Rai da Pippo Baudo e Oreste Lionello nel corso di una sua lezione su Leopardi, mentre recitava il Canto notturno accompagnato dal Chiaro di luna di Beethoven.

    Lasciata la Rai, perché richiesto di iscriversi al Partito Socialista (c’era al Governo Craxi), ha svolto la sua attività presso altre reti televisive, realizzando programmi per la TEF di Perugia (fra cui Parola spia: fuori il verso! e rEstate con noi con Oreste Lionello) e partecipando ai dibattiti culturali di Teletevere e di Televita.

    Ha fatto parte del “Comitato Ministeriale per la salvaguardia della lingua italiana” (insieme a Tullio De Mauro e Giovanni Nencioni), ha scritto articoli per diversi giornali e riviste, fra cui Telesera, il Tempo, il Secolo, il Giornale d’Italia, Voce Romana, Umanesimo del lavoro e Ieri, oggi e domani. Ha collaborato alla “Grande Enciclopedia di Roma” con la voce “Imperatori”.

    Accademico Tiberino e membro della Norman Academy, ha ricevuto premi e riconoscimenti, fra cui il Premio Nazionale Excelsior, il Premio Nazionale Roma Alma Mater, il Premio Alma Pales, il Premio Excellence Award per il Giornalismo e il primo premio in un concorso internazionale per la poesia col volumetto Elogio della Follia. Ha diretto il periodico CULTURA (organo dell’Istituto Europeo per le Politiche Culturali, di cui era vice presidente) e il Conciliatore nuovo da lui fondato al fine di contribuire alla conciliazione degli Italiani, è stato vicedirettore della rivista bilingue MyTime, e attualmente collabora al quotidiano l’Opinione e a due riviste giuridiche, Foro Romano e Temi Romana. Ha coltivato anche la musica e pubblicato un disco con l’editrice Fonola, contenente due canzoni trasmesse dalla Rai.

    Ha al suo attivo un centinaio di pubblicazioni, senza contare i libri che sono rimasti inediti perché troppo intimi e personali. Fra quelli pubblicati, costituiti da romanzi, saggi, poesie, testi teatrali e traduzioni, i più importanti, oltre ai primi due sopracitati, sono: Caos, La scuola di Babele, Italieide, Matureide, Il mitico numero 7, L’Italia dei Caffè, (recensito su due reti della Rai con intervista all’autore e di cui è andato in onda un suo sceneggiato televisivo su Rai Uno), Il mondo dello yoga, Avanti march!, Elogio della saggezza (che gli è valsa la partecipazione al programma Uno mattina della Rai), Il mistero del Cristo senza croce, Le porte dell’Infinito, Il Signore si diverte, La grande bellezza degli Italiani, Lettera a una scolaresca, Brandelli d’Italia, Il Fascismo in presa diretta, I gloriosi Caffè storici d’Italia, La gatta (Anatomia d’un amore), Perdonami, papà, Fratelli d’Italia (Elezioni politiche 2018), la Bibbia in versi endecasillabi, sfrondata del superfluo, con una ricca introduzione critica, Convittiade, Italiani strana gente (in collaborazione con Arturo Diaconale), La nascita dell’Universo (una visione scientifica di Dio e della Creazione), “Nave senza nocchiere in gran tempesta” (storia d’Italia in versi dalle origini ai giorni nostri), Togliamo Cristo dalla croce (un romanzo su Michelangelo), I grandi mali della Santa Chiesa, La Divina Tragedia, In principio era la Parola (la Genesi a modo mio), Il calvario di un povero cristo alla ricerca di Dio, A te l’ultimo canto, Orestiade, Povera e nuda vai, o Poesia. Fra gli sceneggiati: Robinson degli oceani, Giovanna alla riscossa, Una storia vera, Robinson Crusoe, I Promessi sposi, Le mie prigioni, Sigmund, l’eroe vikingo.

    Per la Newton Compton ha tradotto e pubblicato: Tutte le opere di Orazio, l’Eneide (di cui è stata messa in scena una drammaturgia), le Bucoliche e le Georgiche, Le commedie di Terenzio (in versi), Tutte le opere di Seneca, Il fato e La superstizione di Plutarco e, sempre dello stesso autore, Consigli per i politici, L’arte di saper ascoltare e, dalle ‘Vite parallele’, Alessandro e Cesare, Demostene e Cicerone, Pericle e Fabio Massimo. Inoltre l’Orator di Cicerone, le Metamorfosi di Ovidio (in versi) e i Pensieri di Marco Aurelio. Tutte le traduzioni sono state ristampate via via in nuove edizioni, anche in e-book, dalla stessa casa editrice e alcune di esse da Mondadori, Rizzoli, Rusconi e Fabbri.

    Ha elaborato e messo in scena con Oreste Lionello tre commedie per il teatro (in cui ha debuttato anche nelle vesti degli autori): le Nuvole di Aristofane, l’Eunuco di Terenzio e Oblomov. Ha sostenuto la parte del Narratore (con testi suoi originali di contenuto storico e letterario) nella parodia musicale Il Gobbo delle Nostre Dame e in 30 anni di clamorosi successi (coi “Pandemonium”), offrendo anche al divertimento il suo contributo culturale.

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