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NAVE SENZA NOCCHIERE IN GRAN TEMPESTA

“O Italiani, vi esorto alle storie, perché nessun popolo più di voi può mostrare né più calamità da compiangere, né più errori da evitare, né più virtù che vi facciano rispettare, né più grandi anime degne di essere liberate dall’oblio da chiunque di noi sa che si deve amare e difendere ed onorare la terra che fu nutrice ai nostri padri ed a noi, e che darà pace e memoria alle nostre ceneri”. (Ugo Foscolo, Dell’origine e dell’ufficio della letteratura).

Questo appello, come tanti altri analoghi che l’hanno preceduto nei secoli, a partire da Dante e da Petrarca, è ancora inascoltato da buona parte degli italiani, politici, intellettuali, storiografi, insegnanti e giornalisti della Sinistra (per non parlare dei capi del Governo e dello Stato), i quali non accennano nemmeno alla necessità di un sentimento patrio comune e di una storia condivisa da tutti, perché, come recita persino il nostro inno nazionale, che doveva essere provvisorio ed è rimasto definitivo, noi “non siam popolo, perché siam divisi”, e tali siamo in ogni campo e in ogni occasione, anche nelle scelte più banali.

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Autore

  • Mario Scaffidi Abbate

    La biografia di Mario Scaffidi Abbate è molto complessa e difficile da ricostruirsi. Sono innumerevoli gli episodi della sua vita, spesso più unici che rari, di cui soltanto nei suoi libri pubblicati e nei suoi scritti vari si può cogliere qualche sprazzo. La sua attività molteplice, di professore, di giornalista, di fondatore, di direttore e vicedirettore di riviste, di critico letterario, di traduttore, di sceneggiatore in diversi programmi della RAI, la sua vocazione per la pittura, per la musica e soprattutto per la poesia, che gli valse molti premi, e persino nel teatro, non si può descrivere in poche parole. In tutti i campi della cultura è stato veramente un personaggio raro. Come un novello Pindaro, “quasi torrente che alta vena preme”, ha scritto versi a non finire, di cui una buona parte, essendo manoscritti, nemmeno nel computer ha potuto riversare. Vale per lui la frase di Olindo Guerrini (citata da lui stesso in uno dei suoi libri, L’antro acherontico) “O manoscritti miei gettati al vento!”.

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