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LA MIA POESIA “Come un torrente che alta vena preme”

Il sottotitolo del libro, fra virgolette, è un verso di Orazio, che fra le tante Odi ne dedicò una a Pindaro, che comincia così: “Chi Pindaro si sforza di emulare s’alza con penne di dedalea cera, destinato a cader nel vitreo mare”. Ma l’espressione è usata anche da Dante per San Domenico “che con dottrina e con volere insieme con l’officio apostolico si mosse quasi torrente ch’alta vena preme”.

Ma il significato di quella frase può essere anche negativo quando si tratta di una digressione che salta, come si dice, di palo in frasca, cioè da un argomento all’altro senza una logica, totalmente diversi fra loro, tanto più se in maniera affettata e retorica. Ciò non accade quando in tale volo ci sia il fascino della digressione inaspettata e suggestiva. Il nostro Autore ha questo dono singolare, perché non solo i pensieri ma i versi stessi sgorgano spontanei, improvvisi e inaspettati nella sua mente, come se Qualcuno glieli dettasse, dall’alto, e ciò non piace, generalmente, agli editori, in quanto egli dice cose molto elevate che pochi lettori possono capire e condividere. Oggi, purtroppo, la vera e grande Poesia è scomparsa, e non si vende, e la cultura scende sempre di più. In un suo libro, Siamo spiacenti, ma non c’interessa, rifiutato dagli altri editori perché “purtroppo c’è troppa cultura e la Poesia purtroppo non si vende”, alla fine l’Autore scriveva al dedicatario di questo libro:

“La tua è una Casa davvero benemerita, che si merita un premio alla cultura. M’hai pubblicato un saggio sul Fascismo, non accettato dai grandi editori, in cui, senza mentire, ho scritto come lo vedevano allora gl’Italiani, due libri sulla scuola, sulla Chiesa, dalle origini siano ai giorni nostri, dalle crociate (al grido “Dio lo vuole!”) ai roghi, alle scomuniche, ai pontefici che facevano sesso con le amanti, figliando pure loro. Anche qui gli editori hanno paura di passar per eretici. La Chiesa e lo Stato non possono e non devono esser minimamente criticati. Così vado dall’una all’altra sponda del grande fiume dell’editoria, fintantoché non mi travolga un’onda che mi sommerga e che mi spazzi via. Ma non posso fermarmi: la mia vena è così irrefrenabile e feconda, che pure ciò che penso è poesia. Ma non rinuncio a denunciare il marcio che c’è nel bel paese: finché campo a testa alta io marcio, anche se alla disfatta non c’è scampo”.

 

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Autore

  • Mario Scaffidi Abbate

    La biografia di Mario Scaffidi Abbate è molto complessa e difficile da ricostruirsi. Sono innumerevoli gli episodi della sua vita, spesso più unici che rari, di cui soltanto nei suoi libri pubblicati e nei suoi scritti vari si può cogliere qualche sprazzo. La sua attività molteplice, di professore, di giornalista, di fondatore, di direttore e vicedirettore di riviste, di critico letterario, di traduttore, di sceneggiatore in diversi programmi della RAI, la sua vocazione per la pittura, per la musica e soprattutto per la poesia, che gli valse molti premi, e persino nel teatro, non si può descrivere in poche parole. In tutti i campi della cultura è stato veramente un personaggio raro. Come un novello Pindaro, “quasi torrente che alta vena preme”, ha scritto versi a non finire, di cui una buona parte, essendo manoscritti, nemmeno nel computer ha potuto riversare. Vale per lui la frase di Olindo Guerrini (citata da lui stesso in uno dei suoi libri, L’antro acherontico) “O manoscritti miei gettati al vento!”.

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