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Sepolcri imbiancati
INTRODUZIONE
Destra e Sinistra
La Destra e la Sinistra, come tutte le cose di questo mondo, risalgono a Dio, che l’Antico Testamento e la Chiesa raffigurano, anche nella sua sfera assoluta, come una “persona” seduta al centro con a destra il Figlio e alla sinistra lo Spirito Santo, “distinti” fra di loro, così dice la Chiesa (e sulle tre “persone” “distinte” della Trinità ci sarebbe molto da discutere, come io ho già fatto altrove più di una volta). Ma mentre nella sfera assoluta (dal latino absolutus, che significa sciolto, slegato da ogni rapporto o relazione) gli “attributi” di Dio sono tutti mescolati insieme (Dante dice “conflati”) come in un abbraccio amoroso ed armonico, nella sfera relativa, quando Dio stesso entra nel mondo che ha creato a tale scopo, soprattutto nell’uomo, si fanno visibili, chiari, divisi e contrapposti.
Destra e sinistra, dunque, anche nella politica, dipendono dal nostro punto di vista: se guardiamo una persona che ci sta di fronte o se ci vediamo allo specchio la destra risulta alla nostra sinistra, e viceversa. Ma è fuori dubbio che nel corpo umano il braccio destro è quello più usato e più forte, ma comunque il sinistro gli è molto spesso di aiuto, e i due lavorano, come si dice, “d’amore e d’accordo”. È l’uomo, o Dio nella sua veste umana, che opera una distinzione, ma la destra e la sinistra sono di per sé due “simmetrie capovolte”: l’una vale l’altra.
Con la creazione dell’uomo, dunque, Dio avrebbe dato inizio ad un processo o gioco dialettico, creando le contrapposizioni, la tesi e l’antitesi, che sono proprie del linguaggio umano: una convenzione necessaria per “portare avanti il discorso” (e il progresso), come vediamo nei dibattiti, soprattutto politici. Ma dopo la tesi e l’antitesi, come dice Hegel, dovrebbe venire la sintesi: cioè la fusione degli opposti, e questo è il male di fondo della politica italiana, che resta ferma alla tesi e all’antitesi, in cui hanno ragione tutti, senza mai pervenire, se non in casi rarissimi, a una fusione. Sul piano politico l’uso dei vocaboli Destra e Sinistra risale alla Rivoluzione francese, quando i “conservatori” (monarchici) presero posto nei banchi che stavano alla destra del Presidente, mentre i “progressisti”, antimonarchici, si sedettero alla sua sinistra: un fatto, dunque, puramente formale e casuale.
In Italia il termine Destra si riferiva al partito moderato che si raccoglieva intorno a Cavour, che dominò la politica piemontese e, successivamente, quella italiana. La differenza fra la Destra e la Sinistra sta dunque nel punto di vista da cui i due movimenti vedono e giudicano la società e, conseguentemente, nelle ricette o nei programmi che vogliono mettere in pratica per migliorarla. Perciò i due punti di vista, distinti e contrapposti, sono entrambi legittimi, tanto che oggi in alcuni politici della Sinistra, che ha abbassato un po’ i toni rispetto al passato, è invalso l’uso di rispondere (forse ipocritamente, come i farisei) all’avversario che ha esposto un parere contrario al suo: “Opinione legittima, per carità”, al che Vittorio Sgarbi osservò che “un’opinione non è legittima quando si tratta di una palese menzogna”.
Comunque l’opposizione, sia di destra o di sinistra, deve essere costruttiva in quanto anch’essa partecipa all’opera del Governo, per il bene del Paese. Tuttavia in Italia, mentre la Destra, anche all’opposizione, è sempre stata aperta al confronto, serena e misurata nel suo linguaggio, la Sinistra, fedele ai metodi della rivoluzione bolscevica, ha sempre seguito, per partito preso, anche se intimamente concorde con la Destra, la tattica marxista e leninista dell’opposizione ad oltranza, della sopraffazione, spesso anche fisica, e della criminalizzazione dell’avversario.
“Farèm come la Russia, farèm come Lenìn”, andavano gridando i comunisti nel primo dopoguerra, sventolando le loro bandiere rosse, e se qualcuno al loro passaggio non levava in alto la mano col pugno chiuso in segno di saluto, lo prendevano a randellate. Per non parlare di tutto il resto. Sta qui la differenza fra la Destra e la Sinistra italiane: nel linguaggio, negli insulti, nell’arroganza, nella prevaricazione della Sinistra, nella sua presunzione di essere migliore della Destra. Nietzsche definiva ironicamente “anime belle” i denigratori degli avversari politici.
Il 28 febbraio del 1879 nel Manifesto d’una Rassegna settimanale, Giosuè Carducci tracciò un quadro della politica italiana che si adatta perfettamente ai giorni nostri (“Nulla di nuovo sotto il sole”). Dopo avere esordito dicendo che “il vero bisogno dell’Italia non è la politica, alla quale vanno attribuiti la maggior parte dei mali, per questo escludere tutte le altre questioni e interessi, per questo assorbire il miglior succhio della vita paesana”, scriveva: “L’Italia che lavora e paga ha ragione di dire ai suoi reggitori: ‘Io ho bisogno di agricoltori e d’industriali, e voi moltiplicate gli avvocati; io vorrei anche adornarmi di dotti, di letterati, di scrittori, e voi moltiplicate i professori a cui mancano le scuole. E c’è un’altra statistica nella quale l’Italia supera troppo tutte le nazioni civili: la statistica dei carcerati e dei delinquenti. Alla quale se si aggiungono le statistiche della prostituzione, del vagabondaggio, dell’accatto-naggio, dei mestieri che non son mestieri, dell’emigrazione, e la statistica orribilmente indeterminata della miseria, c’è da meravigliarsi con noi stessi che abbiamo la coscienza sì tranquilla e tanto ozio e tanta fede nella Provvidenza da perdere tempo e pensieri dietro le combinazioni o le scissioni di sinistra o di destra. La plebe in Italia o è nemica dello Stato od offre in sé una tal maniera bruta d’indifferenza su cui le fazioni avverse alla nazione e alla libertà lavorano efficacemente. E qui la colpa è principalmente del partito della sinistra, il quale attrasse a sé quanto poté dell’elemento plebeo nelle gloriose file dei volontari; ma poi dimenticò la plebe. O, se non la dimenticò, fece peggio: blandì, e in parte guastò, con lodi e promesse pericolose, la plebe delle città, per trascinarla nelle lotte politiche: ma del reale malessere delle plebi così di città come di campagna non si curò mai; con la indifferenza o la incredulità alla questione sociale lasciò aggrupparsi e ingrossare il pericolo sociale. La sinistra italiana non ha creduto, non ha amato, non ha voluto far mai altro che la politica, e qui sta la sua colpa. Dov’è a sinistra o fra i democratici chi abbia ricercato e studiato seriamente le condizioni della plebe italiana? Dove sono gli animosi, intelligenti e severi affrontatori della questione sociale in Italia?”. E il Poeta così concludeva: “Oltre i termini troppo angusti e circoscritti e non poco incerti del Paese legale esiste il Paese reale che non vuole dimenticati gl’interessi suoi per gl’interessi dei partiti e delle persone; il Paese reale che non può sopportare di vedere ingannate e turbate le sue aspirazioni da combinazioni ibride e immorali; il Paese reale che ha il diritto di ricordare ai deputati che nel piccolo Montecitorio non si deve dimenticare e disconoscere l’Italia, la quale al di fuori guarda, attende e giudica”.
Tuttavia la Sinistra in Italia non può e non deve scomparire: deve solo cambiare atteggiamento e linguaggio, deve guardare a quelle classi sociali che sono le più bisognose di aiuto. Cristo, parlando ai poveri, agli ammalati, ai diseredati, diceva: “Io sono in voi e voi siete in me”. Ebbene, la Sinistra ascolti e faccia sue queste parole. Lasci stare i poteri forti, a cui a un certo punto si è attaccata per poter sopravvivere, i “padroni del vapore”, le banche, le industrie, gli intellettuali, la Scuola, e si volga alla “plebe” a cui accennava Carducci. Il resto lo farà la Destra: ad ognuno i suoi compiti e le sue responsabilità. Dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale la Sinistra si è dichiarata unica e vera depositaria della cultura: sì, della cultura dell’odio, del livore, del rancore, della rivalsa, della vendetta e di tutto ciò che non ha niente a che vedere con la vera cultura. Così alla fine l’ha pagata e dalla luce che credeva di irradiare con la sua ideologia (di riporto) si è ridotta a un lumicino. Non ha ancora capito la lezione.
Che la sinistra goda mala fama
lo dice chiaro la parola stessa,
che il malaugurio simboleggia e chiama.
Lugubre e sciagurata profetessa,
la sorella legittima non ama
e di annunciar catastrofi non cessa.
La Destra, invece, il bene e il retto brama,
come pur dice la parola stessa:
ottimista, pacifica ed amica,
va porgendo la mano a questo e a quello.
Quell’altra, invece, eterna sua nemica,
giostrando con la falce e col martello
sempre pronta alla lotta s’affatica,
perché non ha né cuore né cervello.
Ora, fatta questa premessa, prendendo lo spunto dalla Lettera semiseria di Giovanni Berchet indirizzata ai neoclassici e ai romantici in lotta fra di loro, parafrasandola, satireggiando e capovolgendone i comportamenti, fra il serio ed il faceto e mantenendo lo stesso stile di quella famosa “epistola”, dico ai nostri politici:
Precipuamente mi rivolgo a voi, eccelse menti della Sinistra, miei degni e onorati Maestri, significandovi innanzitutto i segni della mia più viva ed eterna riconoscenza per gli alti insegnamenti di amor patrio, di verità, di carità, di tolleranza, di moralità e di giustizia che sempremai mi avete generosamente elargito nel corso della mia non immodesta esistenza, come che io, conciossiaché di piccola levatura uomo mi sia, mal mio grado pei triboli fuorviato per tal conveniente da voi disconsentire non ardisca.
Troppo lungo mi sarebbe enumerare le numerose benemerenze vostre, le tappe luminose del vostro cammino, le conquiste da voi realizzate in ogni campo dell’umano operare, ma io non sono all’altezza nemmeno di allacciare i lacci delle vostre scarpe gloriose, che pur rotte e lorde di fango tanta strada percorsero tra il soffiare del vento e l’infuriare della bufera, avanti, sempre avanti verso il sole radioso dell’avvenire; voi che in tutte le cose sempre vi moveste e vi movete per primi, non già per presunzione, per spirito di parte o per la smania di attaccar briga, ma perché voi siete previdenti e lungimiranti, tantoché in sui primi anni del primo dopoguerra, voi, che vedete le cose avanti ch’elle nascano, ben fiutaste per primi a quale rovina il regime che ancora non era nato avrebbe condotto il Paese. Perciò prendeste l’iniziativa, al solo e unico scopo di prevenire gli attacchi dei vostri avversari, ché se le loro erano “spedizioni punitive” le vostre erano “azioni preventive”, volte appunto ad evitare quel che poi accadde, purtroppo, in realtà.
E’ lì che ebbe la sua origine quell’ira funesta che ancor oggi divide e travaglia il nostro bel Paese, e che alcuni gazzettieri asserviti ad un usurpatore che mina alle radici la democrazia e la libertà, attribuiscono al clima che voi medesimi avreste determinato, quasiché voi, anime elette e giuste, fomite foste d’odio e di veleno, voi che d’altro mai non vi curaste se non del bene della collettività, alieni da interessi personalistici come dalle beghe e dalle risse comaresche che riempiono gli studi delle nostre reti televisive, dove altro non studiasi se non di primeggiare con l’insulto e la parola volgare.
Io quando vedo nei nostri quotidiani dibattiti la compostezza vostra, la vostra affabilità e disposizione ad un discorrere sereno, civile, costruttivo e tollerante delle opinioni altrui, la vostra apertura mentale e la vostra pazienza, che vi fa attendere in silenzio, senza minimamente interferire, mentre i vostri avversari, con quell’aria di eterne primedonne, son sempre lì a rimbeccare e ad insultarvi, se di ciò da un lato provo amarezza e vergogna, dall’altro mi conforta la speranza che a lungo andare il vostro esempio finirà col prevalere, dacché voi in ogni momento, in ogni caso e in ogni occasione, con l’aiuto provvidenziale della Giustizia, avete sempre dimostrato quanto si debba amare la terra che ci generò. La patria, dico, non gl’interessi personali o di partito, non le donzellette che vengono dalla campagna o dalla città, non i legami, le collusioni con associazioni pervertite e mafiose che mirano a distruggere lo Stato e la nazione tutta.
E voi, o menti abbrutite dall’odio, o gente rozza, ignorante, arrogante, intollerante e razzista, che ingrossate le file di una Destra rissosa e raffazzonata, guardatevi allo specchio, rivedetevi su quegli schermi, fatti da voi degli scherni, tribune di dileggio e strumenti di abominio e di prevaricazione, guardate quanto siete altezzosi e prepotenti, sempre pronti ad intervenire, a rimbeccare, ad offendere, con sulle labbra un risolino ironico e con la testa che fa continuamente no no, come a dire: “Ti sbagli, ti sbagli! Sta’ zitto tu che non capisci niente, vieni a lezione da me che t’insegno io come si governa”. A che v’immischiate in faccende che non vi competono, a che gettate lo scompiglio nel campo avverso quando già siete in discordia fra voi? Ammirate i vostri avversari, che davvero da ospiti si comportano in quei dibattiti, non da padroni di casa, sempre sereni e rispettosi, sì della lingua, sì del pensiero altrui. Non vi passa nemmeno per la testa che chi la pensa diversamente non è che una nostra appendice, che il dialogo con gli altri è sempre e comunque un dialogo con se stessi, perché l’uomo, ogni singolo uomo, in quanto animale dialettico, reca in sé medesimo tutti i contrasti, tutte le contrapposizioni e le contraddizioni, e che in ogni caso la differenza non sta nei contenuti ma nella diversa angolazione da cui la realtà e i suoi aspetti e problemi vengono osservati e nella diversità della soluzione che di essi viene data o proposta. Ma voi odiate i diversi, e in ciò perpetuate l’assurda e diabolica dottrina di una supposta purezza della razza, che tanto danno ha procurato nel mondo all’intera specie umana.
Se aveste la capacità di fare anche i ragionamenti dei vostri avversari, così come loro sono capaci di fare anche i vostri (tanto le loro menti sono aperte e sottili), se solo riusciste a pensare che in virtù di questa verità – l’esistenza, cioè, di un principio unico e solo, che per necessità dialettica si scinde in due pensieri, diversi ma solo apparentemente diversi – allora forse finalmente accogliereste il loro invito a sedervi seco loro a tavolino per discutere serenamente, da uguali, quali tutti siamo costituzionalmente, nel fondo dell’animo nostro, esaminando le due, le tre, le quattro possibili soluzioni, con calma, dignitosamente, come si conviene ad uomini non ad animali, o, peggio ancora, a delle bestie feroci.
Non potremo dunque mai avere una patria comune, un comune sentire, se non altro a conforto delle nostre comuni sciagure? Perché tanto disprezzo? Fate di piacere non solo al popolo vostro, che già vi segue, ma soprattutto a quello che potrebbe seguirvi domani, pascetelo di parole oneste e sincere, non di calunnie e di vento, conciossiaché da questo male, da quest’odio che sempremai affligge il nostro bel Paese, possa sorgere un giorno, dopo il fosco tramonto del sole del passato, un’alba nuova, di pace e di concordia fra tutti.
A che miri la parola mia voi lo sapete, perciò fatene senno e non permettete che codesto odio si sfoghi al vento. So che a tutti piace di onestare la loro disponibilità alla concordia con dei bei paroloni. Ma io non farò alcun conto di chiunque vada ritessendomi la solita canzone che l’Italia è un armento di venti popoli divisi l’uno dall’altro e che non c’è niente da fare. Se siete caldi di vero amore per la vostra bella Italia, levate l’orecchio e ascoltate. Udite come tutta quanta l’Europa e il mondo intero ne rinfaccia il presente decadimento della politica nostra. Fermatevi, in nome di Dio! Ponetevi una mano al petto, interrogate la coscienza vostra. E non la sentite anch’essa tremar di vergogna?
Ponete dunque fine agl’insulti villani, con che vi strapazzate fra voi, con che ne strapazzano quei popoli stessi che un tempo, o ne lodavano, o taciturni rodevansi d’invidia per i nostri trionfi. Alle calunnie non state ad opporre altro che la dignità del silenzio, e cadranno di per sé. Ma degli altri giovatevi, giovatevi comunque, e non li beffate. E recuperate la gloria della vostra terra col fare, non con il dire. Siate uomini, non cicale, e tutto il popolo intero vi benedirà. Non raccogliete gli appelli di certi lillipuziani, i quali, non trovando altro modo di scuotersi giù dalle spalle l’oscurità che li avvolge, si dànno a parteggiare nel seno della loro patria e van diffondendo, non solo entro le mura della casa comune ma anche fuori, nei paesi d’oltralpe e d’oltre oceano, prezzolando gazzette straniere, la sentenza universale di un’Italia sfasciata, in preda alla più sfrenata licenza. Emarginate codesti Cerberi esagitati e furenti che con la bava alla bocca, gli occhi fuori dalle orbite e gli artigli pronti a ghermire vogliono tutto distruggere, gettando benzina sul fuoco, e vedrete che riprenderanno modestia e abbasseranno i toni, inchinandosi alla suprema necessità. E più non parleranno col disprezzo che usano non solo verso gli avversari ma coi loro stessi compagni di strada. Imparate giustizia, ma sia la vostra una giustizia giusta, che operi sui fatti concreti, non sui sospetti, sulle supposizioni e sui teoremi; e senza il supporto di sicofanti, di pentiti e di spie”. (Dal Conciliatore nuovo).
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