Parole in libertà
Insegnare agli adulti, specialmente in un carcere, è per i docenti un’attività allo stesso tempo difficile e gratificante. Conosco molto bene questa sensazione, perché prima di diventare Dirigente Scolastico, sono stata, per scelta e per passione, insegnante e responsabile per diversi anni in un corso serale per adulti di un istituto professionale. Quando mi hanno proposto l’Istituto Tecnico Economico “Enrico Caruso” come nuova sede di lavoro in qualità di Dirigente, ho accettato molto volentieri, non solo perché sapevo di ereditare una scuola ottimamente organizzata per ciò che riguarda l’attività diurna con i ragazzi della sede centrale, ma anche perché ero molto affascinata dall’esperienza della sede staccata con gli adulti detenuti presso il carcere di Secondigliano che ho visitato più volte in questi mesi. Non mi sbagliavo affatto. Ho trovato, oltre che professionalità e competenza nei docenti che vi lavorano, anche grande passione educativa che, lasciatemelo dire, è il motore di qualsiasi esperienza didattica di successo.
La lettura di questo lavoro, mirabilmente organizzato dai curatori, mi ha suscitato qualche breve riflessione: – nei protagonisti del laboratorio emerge la necessità di raccontarsi in ogni modo e nelle diverse forme: devo riconoscere che questo bisogno è sempre affiorato tutte le volte che ho incontrato i nostri allievi; – i ricordi del passato e gli affetti delle persone care rappresentano i principali elementi di ispirazione dei componimenti; – la tecnica della descrizione utilizzata ha consentito la realizzazione di veri e propri quadretti di paesaggi suggestivi. L’esperienza del laboratorio di scrittura creativa “Parole in libertà” racconta che la scuola può fare molto nelle situazioni di emergenza sociale, perché è un presidio etico che può aprire alla speranza di una vita migliore e diversa per i detenuti e le loro famiglie alimentando la cultura che rappresenta un importante mezzo di elevazione sociale. Sfogliando le pagine è possibile cogliere la particolare considerazione dello scorrere del tempo in carcere. Salvuccio descrive infatti l’attesa come “una costante formata dalla somma di tante attese intermedie, più o meno giustificate” … e poi… “un’ora d’aria vale un’intera giornata”.
Ancora un’importante considerazione emerge dagli scritti dei protagonisti quando affermano che “anche in galera c’è qualcosa di buono: la scuola”, ed ancora “la scuola è ossigeno per gli esseri viventi” a riprova del rilevante ruolo che riveste l’istruzione ed il contatto quotidiano con i docenti. Il cambiamento è possibile, ma è necessaria una profonda rivisitazione del proprio vissuto, e la scrittura può curare, specie nelle situazioni di forte disagio dovute alla restrizione della libertà, perché “fa emergere la parte creativa, sana, del proprio sé” e attinge “al passato di uomini liberi”, aiutando a contrastare le immagini della vita opprimente e buia della carcerazione. “Erano dei giorni meravigliosi, nell’aria impazzava l’odore di primavera, era come trovarsi in un immenso prato colorato in cui l’odore dei peschi in fiore regnava incontrastato. I miei sensi di giovane fanciullo venivano rapiti dal profumo di torrone e zucchero filato che arrivavano dal carretto del venditore ambulante all’angolo del corso Umberto. Napoli era di una bellezza imbarazzante, una bellezza che ha sfiorato poche volte nel corso della sua storia millenaria”. La scrittura, come dicono gli autori del libro, aiuta a liberarsi dalle ansie delle “occasioni mancate”, ad esprimere le emozioni e ad intraprendere un percorso di consapevolezza che, lo auguro a tutti i nostri alunni, può condurre ad un futuro migliore.
Letizia Testa Dirigente Scolastico I.T.E.
“E. Caruso” di Napoli
15,00€