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I PREGIUDIZI DI UNA RAGAZZA – Romanzo tra fantasia e realtà

Quando Emanuele Palmieri, alla sua seconda esperienza editoriale, ha finito di scrivere questo suo romanzo lo aveva intitolato “La favola d’amore di un detenuto”, in esso compensandosi i tre punti di riferimento della storia: la favola, l’amore, il suo status civile. Poi ha deciso di focalizzare nel titolo quello che ha ritenuto, forse tuttora – almeno al momento della prima edizione del libro – ritiene essere il nocciolo di tutta la vicenda, il pregiudizio, cioè, di una ragazza (se ne potrebbe intravvedere anche il pregiudizio della società) nei confronti di chi, pur essendosi reso responsabile di reati contro la persona, ha pagato fino all’ultimo il suo debito con la società. E intende sentirsi, ed essere considerato, libero: libero a tutti gli effetti.
Ma il romanzo racconta più che le angosce di un detenuto, quelle di un ragazzo che si è illuso, nella realtà e nella finzione, di avere ricambiato l’amore che ha provato, e tuttora prova, per una ragazza conosciuta per caso, tramite la corrispondenza di un settimanale, e che solo per caso lo ha amato. Come osserva lo stesso autore nella prefazione, si tratta di un romanzo sospeso tra realtà e fantasia: luoghi, persone, eventi sono in parte veri (lei e io siamo esistiti veramente, proclama con enfasi Emanuele), in parte mutuati dai sogni che lo stesso autore vorrebbe ardentemente si trasformassero in realtà. Come potrebbe anche essere: se i sogni, come recitava una canzoncina di Cenerentola, con desideri… La protagonista vive in un piccolo paese della provincia di Cosenza.

15,00

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Autore

  • Emanuele Palmieri

    Emanuele Palmieri. Nascere a Gela nel 1969 e crescere a Vittoria porta inevitabilmente il pensiero a un periodo caratterizzato da episodi di criminalità organizzata, che avevano condizionato la vita di quei laboriosi centri urbani. In quel periodo la scuola non era nelle aule ma nella strada. Emanuele, come gli altri adolescenti della sua età, non ha mai conosciuto l’infanzia «mai incontrata, né accarezzata, né frequentata». Nemmeno i quattro anni trascorsi presso un collegio di suore sono serviti a insegnargli che la vita è da vivere nella legalità con il rispetto dei propri simili. Costretto a dover sopravvivere in mezzo a un susseguirsi di scelte sbagliate, ha inevitabilmente vissuto l’esperienza del carcere minorile. Confidando in una sorta di impunità, privo della cultura di discernere il bene dal male, si è ritrovato in carcere per sedici anni e tre mesi. Guardando indietro, con un sorriso amaro Emanuele constata che Vittoria porta tale nome ma, in effetti, per troppi anni ha rappresentato la “sconfitta” della gente onesta, che «meriterebbe la luce del sole, i colori dell’arcobaleno, la serena bellezza del tramonto…».

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