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Il mio testamento spirituale

Perché Gesù nelle Beatitudini, ammesso che siano farina del suo sacco, come tante altre sue frasi, che gli sono “attribuite” dai profeti (che Dio nell’Antico Testamento definisce “empi e corrotti”) non dice “beati” anche ai vecchi? Già nell’Antico Testamento ai tempi di Mosè la vecchiaia era un’importante “istituzione” civile e religiosa formata da un collegio di anziani che avevano mansioni diverse, di giudici, di consiglieri, anche con funzioni direttive: una “classe sociale” ricordata molto spesso, come “gli anziani d’Israele”, “gli anziani del popolo”, “gli anziani della città”. Nel Levitico è scritto: “Alzati davanti al capo canuto, onora la persona del vecchio e temi il tuo Dio”. Nei Salmi si legge: “Non respingermi al tempo della vecchiaia, non abbandonarmi quando le mie forze declinano”. La vecchiaia non è un periodo di decadimento, di rinuncia e di chiusura in se stessi: l’albero della vecchiaia può avere e dare ancora dei frutti, e ciò che conta è la qualità, non la quantità. Se dunque la vecchiaia è, o può essere, una ricchezza e non una povertà, è “beata” anche lei. Beati dunque soprattutto i vecchi, perché “vedranno Dio” prima degli altri. Giovanni Paolo II è stato fra tutti i Pontefici colui che meglio ha saputo esprimere la vecchiaia, dimostrando personalmente che “anche la sofferenza estrema e la debolezza di un corpo fragile possono diventare la più alta testimonianza di fede e che la forza si manifesta pienamente nella debolezza”.

Leopardi nello Zibaldone così scriveva della vecchiaia: “È cosa lacrimevole ed infame il disprezzo dei vecchi, anche nella società più raffinata. Il vecchio, oggi in Italia, in una compagnia di giovanotti è lo spasso, il soggetto dei motteggi di tutta la brigata. È trascuranza non assisterli, non prestare loro quegli aiuti il cui commercio è il fine, la causa dell’umana società, dei quali i vecchi più di tutti gli altri hanno bisogno: son serviti i giovani, mentre i vecchi si servono da sé”.

Ma poi c’è vecchio e vecchio, come c’è giovane e giovane: se un vecchio, anche quasi centenario, come l’Autore di questo poemetto, è un poeta, che ha scritto e pubblicato un centinaio di libri, merita la medaglia per la sua cultura e soprattutto per la sua “vera”, alta e sublime poesia.

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  • Mario Scaffidi Abbate

    La biografia di Mario Scaffidi Abbate è molto complessa e difficile da ricostruirsi. Sono innumerevoli gli episodi della sua vita, spesso più unici che rari, di cui soltanto nei suoi libri pubblicati e nei suoi scritti vari si può cogliere qualche sprazzo. La sua attività molteplice, di professore, di giornalista, di fondatore, di direttore e vicedirettore di riviste, di critico letterario, di traduttore, di sceneggiatore in diversi programmi della RAI, la sua vocazione per la pittura, per la musica e soprattutto per la poesia, che gli valse molti premi, e persino nel teatro, non si può descrivere in poche parole. In tutti i campi della cultura è stato veramente un personaggio raro. Come un novello Pindaro, “quasi torrente che alta vena preme”, ha scritto versi a non finire, di cui una buona parte, essendo manoscritti, nemmeno nel computer ha potuto riversare. Vale per lui la frase di Olindo Guerrini (citata da lui stesso in uno dei suoi libri, L’antro acherontico) “O manoscritti miei gettati al vento!”.

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