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La morte di Dio

La Chiesa cattolica dice da sempre che nella Creazione Dio trasse tutte le cose “dal nulla”, quando il nulla non esiste, poiché nello spazio infinito esiste l’aria che noi respiriamo e utilizziamo in quanto l’aria è piena di energia nel suo stato sottile e invisibile, che si rende visibile nelle cose e in tutti gli esseri viventi.

La prova più lampante di questa verità la offre il fulmine, che, nato da una scarica “elettrica” dell’energia sottile e invisibile, si rende manifesto nel fuoco, che brucia alberi e cose.

Dunque, quella che noi attribuiamo a Dio come una Creazione è in realtà una trasformazione, come diceva Ovidio nelle Metamorfosi, che sono appunto delle trasformazioni. Fra l’altro, se crediamo alla Bibbia, che per la Chiesa cattolica è Parola di Dio, che l’avrebbe dettata direttamente ai suoi profeti (che Dio stesso nel Libro di Geremia maledice e chiama empi e corrotti, insieme ai sacerdoti, perché spargono voci false, inquantoché Lui non ha dato a loro “nessun ordine”), Giovanni nell’esordio del Vangelo dice che “in principio” (dunque non ab aeterno, da sempre) c’era solo la Parola, che la Parola era Dio e che tutte le cose sono nate dalla Parola, cioè dall’essenza stessa di Dio, non con un semplice “Sia” (“Sia la luce”, “Sia il cielo” e così  via), ma pronunciando Lui stesso le parole corrispondenti o adeguate alle cose, come il pappo e il dindi di cui parla Dante, riferendosi al bambino che ancora non sa parlare, quando indica la “pappa” e il suono che fanno i soldi cadendo a terra e dentro il salvadanaio, chiamato appunto il “dindarolo”.

Quanto al giudizio sul contenuto del poemetto lo daranno i lettori.

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Autore

  • Mario Scaffidi Abbate

    La biografia di Mario Scaffidi Abbate è molto complessa e difficile da ricostruirsi. Sono innumerevoli gli episodi della sua vita, spesso più unici che rari, di cui soltanto nei suoi libri pubblicati e nei suoi scritti vari si può cogliere qualche sprazzo. La sua attività molteplice, di professore, di giornalista, di fondatore, di direttore e vicedirettore di riviste, di critico letterario, di traduttore, di sceneggiatore in diversi programmi della RAI, la sua vocazione per la pittura, per la musica e soprattutto per la poesia, che gli valse molti premi, e persino nel teatro, non si può descrivere in poche parole. In tutti i campi della cultura è stato veramente un personaggio raro. Come un novello Pindaro, “quasi torrente che alta vena preme”, ha scritto versi a non finire, di cui una buona parte, essendo manoscritti, nemmeno nel computer ha potuto riversare. Vale per lui la frase di Olindo Guerrini (citata da lui stesso in uno dei suoi libri, L’antro acherontico) “O manoscritti miei gettati al vento!”.

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