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L’inesistente immagine di Dio

Sono innumerevoli le interpretazioni che vengono date sui passi oscuri e ambigui, sugli errori, le incoerenze e le assurdità che si trovano nella Bibbia (e in particolare nella Genesi, il primo libro), che la Chiesa cattolica si ostina a definire Parola di Dio, che l’ha “dettata” (da dove e in quale veste non si sa) “come un capo d’azienda va dettando una lettera alla sua segretaria” (Edizioni Paoline 1958).

È inutile e puerile che la Chiesa se la cavi dicendo che “le Scritture dicono così”. Sono andato su Internet in cui la nostra Chiesa spadroneggia a tutto spiano per trovare qualcosa da inserire in questa sintesi del libro. Ma i suoi discorsi, i suoi commenti e le sue interpretazioni non risolvono niente, possono andar bene per gl’ingenui, per i poveri di spirito, tanto esaltati da Cristo, perché coi suoi insegnamenti vedranno Dio sulla Terra stessa, prima che in Paradiso, perché imbevuti delle chiacchiere della Chiesa e degli imperativi categorici di Saulo di Tarso, fondatore “casuale” del Cristianesimo, del quale ho già parlato altrove: “Bisogna credere per fede” e “Tutta la logica di questo mondo è stoltezza di fronte a Dio”.

Galileo Galilei, un grande scienziato, scrisse numerose lettere anche alla Chiesa sull’opportunità o meno di utilizzare le sacre Scritture, dicendo che l’immagine di Dio è un concetto e una dottrina teologica nel giudaismo e nel cristianesimo. Si tratta di un aspetto fondativo della fede giudaico-cristiana per quanto riguarda la comprensione fondamentale della natura umana. Deriva dal testo principale di Genesi 1:27, che recita: “Dio creò l’uomo a sua immagine, lo creò a immagine di Dio; maschio e femmina li creò”. Il significato esatto della frase è stato dibattuto per millenni. Seguendo la tradizione, un certo numero di studiosi ebrei sostenevano che essere fatti a immagine di Dio non significa che Dio possieda caratteristiche umane, ma piuttosto il contrario: che l’affermazione è un linguaggio figurato per indicare che Dio conferisce onore speciale al genere umano, che non ha conferito al resto della creazione.

La storia dell’interpretazione cristiana dell’immagine di Dio ha incluso tre linee di comprensione comuni: una visione sostanziale individua l’immagine di Dio in caratteristiche condivise tra Dio e l’umanità, come la razionalità o la moralità; una comprensione relazionale sostiene che l’immagine si trova nelle relazioni umane con Dio e con gli altri; e una visione funzionale interpreta l’immagine di Dio come un ruolo o una funzione in base alla quale gli esseri umani agiscono per conto di Dio e servono a rappresentare Dio nell’ordine creato. Questi tre punti di vista non sono strettamente competitivi e possono offrire ciascuno un’idea di come l’umanità somiglia a Dio. Inoltre, un quarto e precedente punto di vista riguardava la forma fisica e corporea di Dio, sostenuta sia dai cristiani che dagli ebrei. La dottrina associata all’immagine di Dio fornisce una base importante per lo sviluppo dei diritti umani e della dignità di ogni vita umana indipendentemente dalla classe, dalla razza, dal sesso o dalla disabilità, ed è anche collegata alle conversazioni sul corpo umano. La frase “immagine di Dio” si trova in tre passaggi della Bibbia ebraica, tutti nel Libro della Genesi 1–11: E Dio disse: “Facciamo l‘uomo a nostra immagine”, e la Chiesa vede in quel plurale (facciamo) la Trinità Cristiana, che è ancora di là da venire nel Nuovo Testamento, ma lei, testarda, incoerente e ingiusta, ne approfitta per dire, insieme ad altri accenni, che l’Antico Testamento è un preannuncio del Nuovo, e se ne è persino appropriata.

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  • Mario Scaffidi Abbate

    La biografia di Mario Scaffidi Abbate è molto complessa e difficile da ricostruirsi. Sono innumerevoli gli episodi della sua vita, spesso più unici che rari, di cui soltanto nei suoi libri pubblicati e nei suoi scritti vari si può cogliere qualche sprazzo. La sua attività molteplice, di professore, di giornalista, di fondatore, di direttore e vicedirettore di riviste, di critico letterario, di traduttore, di sceneggiatore in diversi programmi della RAI, la sua vocazione per la pittura, per la musica e soprattutto per la poesia, che gli valse molti premi, e persino nel teatro, non si può descrivere in poche parole. In tutti i campi della cultura è stato veramente un personaggio raro. Come un novello Pindaro, “quasi torrente che alta vena preme”, ha scritto versi a non finire, di cui una buona parte, essendo manoscritti, nemmeno nel computer ha potuto riversare. Vale per lui la frase di Olindo Guerrini (citata da lui stesso in uno dei suoi libri, L’antro acherontico) “O manoscritti miei gettati al vento!”.

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